Peyote "Milano mette ansia, ma mi diverto"

"Al resto del cartellone cerco di non pensare…" ammette Willie Peyote scorrendo i nomi degli altri protagonisti di questa prima edizione al Parco della Musica di Segrate. Unico italiano in programma, il rapper torinese non nasconde una certa soggezione davanti a veterani dello showbiz anglo-americano come Massive Attack, Nine Inch Nails o Smashing Pumpkins. Per non parlare degli Who, che il 22 luglio affidano proprio a quel palco l’ultimo concerto italiano della loro carriera. Lui, Guglielmo Bruno in arte Willie, quarant’anni a fine agosto, è atteso giovedì prossimo. "A parte il caldo ingestibile, mi sto divertendo" assicura lui. "Anche se è presto per dare un giudizio perché al momento abbiamo fatto solo un paio di concerti, fra cui quello di Torino in cui ho festeggiato, in anticipo, il compleanno".
Cosa pensa della stagione live che stiamo vivendo?
"Ho visto diversi spettacoli e devo dire che, per quanto sia esplosa la bolla post pandemia (quando la voglia di musica dal vivo era tanta e qualsiasi proposta funzionava o quasi - ndr), misembra che di gente ai concerti ne vada ancora tanta".
Cosa le è piaciuto?
"Ho visto Marracash, Cremonini, i Pinguini Tattici Nucleari, ma anche Joan Thiele, Franco 126, Dario Brunori. Mi sono piaciuti tutti molto, anche se i due live più interessanti di artisti che non conoscevo bene sono stati quelli Marco Castello e La Niña".
Alcuni kolossal da stadio sono molto concettuali, con una narrazione precisa.
"Interessante, ma non è il mio. A me piacciono i concerti in cui si suona tanto e si racconta tanto attraverso la musica, magari con grande orchestra, cori, archi".
Gaza, Ucraina, diritti civili. Il microfono è un po’ una responsabilità, oppure no?
"Secondo me, sì. Ti offre la possibilità di raggiungere a tante persone ed è giusto usarlo in maniera utile. Parlando di tante cose già nelle canzoni, non lo faccio pure tra un pezzo e l’altro, perché qualsiasi argomento abbia a cuore l’ho già affrontato in musica e trova quindi spazio in scaletta".
Il singolo "Giorgia nel Paese che si Meraviglia", ad esempio.
"Già. Al momento il nostro mi sembra un paese in attesa. Di cambiamenti. Ho come la sensazione che regni una specie quiete prima della tempesta, chiamiamola così. Frutto anche della situazione politica internazionale che tiene tutti sul chi va là".
Ogni pubblico ha le sue peculiarità. E quello milanese non fa eccezione.
"Milano è il centro del mondo, ma, visto che tutto gira qui, è anche la casa del lupo. Suonare a Milano ha un impatto maggiore che suonare in qualunque altro posto, perché la città, proprio per queste sue caratteristiche, ti responsabilizza, mettendoti addosso un’ansietta buona, positiva, stimolante".
Sanremo 2026, ci ha fatto un pensiero?
"Sull’argomento vale il titolo del brano con cui sono tornato in gara quest’anno, ‘Grazie ma no grazie’. Lo guarderò la televisione da casa come il resto del popolo italiano".
Il Giorno